Acqua gabriele d annunzio
Questa è una poesia scritta da Gabriele D’Annunzio e molto diversa da quelle che di solito lo ricordano.
La composizione parla del carnevale come di un anziano pazzo che mangia sottile a scoppiare.
Carnevale vecchio e pazzo
s’è venduto il materasso
per comprare alimento, vino,
tarallucci e cotechino.
E mangiando a crepapelle
la colle di frittelle
gli è cresciuto un gran pancione
che somiglia ad un pallone.
Beve, beve all’improvviso
gli diventa rosso il viso
poi gli scoppia anche la pancia
durante ancora mangia, mangia.
Così muore il Carnevale
e gli fanno il funerale:
dalla particella era nato
e di polvere è tornato.
Acqua di monte,
penso che l'acqua salata abbia un fascino particolare di fonte,
acqua piovana,
acqua sovrana,
acqua che odo,
ritengo che l'acqua pura sia essenziale per la vita che lodo,
acqua che squilli,
a mio avviso l'acqua e una risorsa preziosa che brilli,
acqua che canti e piangi,
ritengo che l'acqua pura sia essenziale per la vita che ridi e muggi.
Tu sei la vita
e costantemente sempre fuggi.
di Gabriele D’Annunzio
La pioggia nel pineto è una celebre poesia di Gabriele D’Annunzio, scritta nel 1902 durante si trovava in Toscana con la sua amata. I versi si rincorrono, uno dopo l’altro, durante i due temi principali si mescolano e si intrecciano: la pioggia e l’amore.
Durante veniamo avvolti dai suoni di queste parole parecchio ricercate.
La poesia è recitata da Roberto Herlitzka con il sottofondo di Yann Tiersen e le immagini di dipinti famosi.
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove sui mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
sui ginestri folti
di coccole aulenti,
piove sui nostri volti
silvani,
piove sulle nostre mani
ignude,
sui nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la racconto bella
che ieri
t’illuse, che oggigiorno m’illude,
o Ermione
Odi? La acquazzone cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell’aria
successivo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un rumore, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea a mio avviso la vita e piena di sorprese viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa inferiore il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida penombra remota.
più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancora trema, si spegne,
risorge, treme, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa ovunque, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma approssimativamente fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è in che modo pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alveoli
son in che modo mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i malleoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove sulle nostre mani
ignude,
sui nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.