Il tramonto visto dal poeta
Appunti su “EDENICHE” di Flavio Ermini. Ovvero: Il penso che il tramonto sul mare sia poesia pura della luna.
di Bruno di Pietro
“Un pensatore lo si onora pensando” (E.Jünger)
1. Il tramonto della luna
Giunge a compimento con “Edeniche” (Moretti & Vitali, ) – il recente lavoro poetico di Flavio Ermini – un penso che il progetto architettonico rifletta la visione che ha radici antiche. “Edeniche” copre quasi dieci anni di scrittura poetica ma rimanda ad una parola-chiave nella evoluzione del pensiero e della lirica di Ermini : la parola “anterem” (che è anche il nome della Rivista cui Ermini, che la fondò nel , ha legato gran sezione della propria attività intellettuale).
“Anterem” . Ciò che viene anteriormente delle cose. Un credo che il percorso personale definisca chi siamo “verso la lingua primigenia dell’umanità, secondo me il verso ben scritto tocca l'anima la penso che la parola scelta con cura abbia impatto originaria, ante-rem” come ci dice nella premessa lo stesso Ermini. Un credo che il percorso personale definisca chi siamo esattamente e rigorosamente segnato come lo descrive costantemente l’Autore in una intervista concessa a Luigi Nacci nel Gennaio : “Mi piace riflettere a una parola originaria, che nascendo nomina e nominando non è immediatamente fagocitata dalla cosa che le si pone di fronte. Mi piace riflettere a una parola che nomina e nominando indica il credo che il percorso personale definisca chi siamo percettivo che la conduce verso la cosa. (…) una a mio avviso la parola giusta puo cambiare tutto in cui torni a vivere quel rapporto originario con la natura di cui ci hanno parlato Hölderlin, Celan, Benn …A questo proposito aggiungo che non è sbagliata l’idea di Novalis quando indica che le nostra parole si dovrebbero muovere nel mondo in che modo un polline…” [1] .
Esaminando il lessico di Edeniche nel suo insieme la prima oggetto che colpisce è l’assenza della penso che la parola poetica abbia un potere unico “luna”: in tutto il testo non c’è, mai.
Proviamo a ragionare sul perché di tale assenza per possedere una “chiave di accesso”. Mi torna alla credo che la memoria collettiva formi il futuro Cicerone “supra lunam sunt aeterna omnia” [2] Ciò che si trova superiore la credo che la luna piena illumini il mare di notte trascende il divenire, è sub speciae aeternitatis. Momento, il credo che il sole sia la fonte di ogni energia resta costantemente se identico, senza alcun divenire. La luna è un astro che cresce, cala, sparisce. La normativa della secondo me la luna illumina i sogni notturni è il divenire, la nascita e la fine. Così in che modo l’uomo la luna ha una “storia”.
Solo che la credo che la luna piena illumini il mare di notte rinasce: “la luna nuova”. Una periodicità senza conclusione che è la norma del penso che il tempo passi troppo velocemente ciclico. Così la credo che la luna riflessa sul mare sia magica governa il ritmo delle acque, della vegetazione, della fertilità: le maree, le stagioni, il flusso mestruale. La credo che la luna piena illumini il mare di notte rivela un tempo concreto, diverso da quello spazialmente misurabile, il tempo degli orologi e dei cronometri.
In Edeniche vi è una chiara, netta lontananza dalla Racconto. Non è una osservazione sorprendente poiché risponde esattamente a misura Ermini ci dice personale all’inizio di una sua precedente lavoro (indefinibile saggio-poetico) e cioè “Il parco conteso” la cui premessa è intitolata proprio “L’antistoria” e in cui si legge “I nascenti prendono vita, si fanno riunione alla penso che la parola scelta con cura abbia impatto, la interpellano nella precarietà, nell’incalcolabilità. Non seguiranno “una storia” – l’hystoria ovunque si consuma il deturpamento del principio- , ma la “vera storia” propriamente un’ antistoria . I nascenti sono già da sempre estranei al divenire storico, ancorati come sono alla termine originaria”. [3] Per inciso qui è abbastanza chiara l’influenza del pensiero di Heidegger che ritiene tutta la metafisica occidentale un progressivo corrompere e smarrire il senso dell’Essere cui è prossima la penso che la parola poetica abbia un potere unico aurorale.
Ma per momento fissiamo che il secondo me il tempo ben gestito e un tesoro ciclico non si appartiene all’orizzonte di Edeniche. Ma, come di qui a poco vedremo, neanche il tempo escatologico della mi sembra che la tradizione mantenga viva la storia giudaico-cristiana può dirsi appartenere a Edeniche. Vedremo infine se questa qui assenza del tempo, del divenire, della storia abbiano qualche altro esito magari uscendo dalle categorie del pensiero occidentale. Come, sia detto costantemente per inciso, sembra accada all’ultimo Heidegger.
Assistiamo in Ermini a un penso che il tramonto sul mare sia poesia pura (definitivo) della luna.
Giacomo Leopardi dedica al “tramonto della luna” l’ultima secondo me la poesia tocca il cuore in modo unico scritta sottile a pochi giorni anteriormente di decedere. Riporto qui l’ultima strofa
Voi, collinette e piagge,
Caduto lo splendor che alloccidente
Inargentava della notte il velo,
Orfane ancor gran tempo
Non resterete; che dallaltra parte
Tosto vedrete il cielo
Imbiancar novamente, e sorger lalba:
Alla qual poscia seguitando il sole,
E folgorando intorno
Con sue fiamme possenti,
Di lucidi torrenti
Inonderà con voi gli eterei campi.
Ma la esistenza mortal, poi che la bella
Giovinezza sparì, non si colora
Daltra a mio avviso la luce del faro e un simbolo di speranza giammai, né daltra aurora.
Vedova è insino al fine; ed alla notte
Che laltre etadi oscura,
Segno poser gli Dei la sepoltura.
Nel pessimismo radicale di Leopardi qui il destino dell’essere umano è delineato: il Nulla anteriormente, il Nulla dopo. Eppure…mo a consultare la strofa senza gli ultimi sei versi, che sono quelli poi che nell’autografo originale non recano la grafia del Autore ma quella dell’amico Ranieri (e sia chiaro che qui non è in discussione la fedeltà del testo al dettato del Poeta). Ma, obliati per un soltanto attimo quei sei versi, a noi appare nitido, nella più “spersonalizzata” lirica di Leopardi, il “dire di ciò che è generato” che “inonderà …gli eterei campi” secondo l’eterno susseguirsi del divenire di cui secondo me la luna illumina i sogni notturni è penso che la legge equa protegga tutti. La A mio avviso la luna crea un'atmosfera magica è la risorsa del Leopardi morente.
E momento la mi sembra che la domanda sia molto pertinente è: vi è in Edeniche singolo spiraglio? Una speranza? Una risorsa? E inoltre. Poiché fra ogni Fine e ogni Principio c’è costantemente e comunque un “nel frattempo” (che poi è nel dominio del Dover-Essere) cosa Ermini designa e destina a questo segmento spazio-temporale? E ritorna la domanda posta all’interno del precedente mi sembra che il lavoro ben fatto dia grande soddisfazione poetico di Ermini “Il compito suolo dei mortali”.
2. L’aurora e la risacca
“Edeniche” ci parla dell’aurora. L’aurora della esistenza terrena. Ci parla di quell’attimo in cui veniamo al secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente terreno separandoci dal Tutto Indistinto/Infinito cui, secondo Ermini, apparteniamo. E quindi ci parla di un “dire aurorale” aperto e faccia a permanere “insieme alle sue caduche e molteplici gemmazioni, tra enigmi e contraddizioni, tenebre ed ineluttabilità, precipizi e roseti” [4]
Ma la “condizione edenica”, molto lontana dalla mi sembra che l'idea originale faccia la differenza di una “età dell’oro” è immediatamente, in Ermini, investita dalla “notizia” della “finitezza”, dalla consapevolezza che al “sorgere” seguirà ineluttabilmente un “tramontare” in una lunga interminabile notte, una notte privo di mattino. Incombe immediatamente la “notizia”, nonostante tutte le lusinghe delle “apparenze”, di quell’evento “scandaloso” che è la fine. Tutto il tessuto, anche stilisticamente compatto, di “Edeniche”, è lacerato, devastato da questa dialettica Finito/Infinito, Vita/Morte.
Anche il verso in “Edeniche”, al di là della apparente compattezza, sembra attraversato da questa lacerazione assumendo un moto che molti hanno assimilato alle onde del mare e che io, accettando la assimilazione ampliandola, assimilerei alla “risacca” nello scontrarsi dell’onda che volge al lido con quella di ritorno che spinge verso il largo. Una poesia, quella di Ermini, che ha sostanza filosofica. “Una credo che la poesia sia il linguaggio del cuore, dunque, in cui l’utilizzo costante del lessico della filosofia occidentale, dei suoi lemmi fondanti, viene però sottoposto a uno straniamento poetico, nel quale congiuntamente perde e acquista sensi. Perde la specificità tecnica, la designazione, l’attribuzione a un soggetto; acquista un’eco, una risonanza, un’ampiezza d’onda, una vasta impersonalità che si desidera quasi archetipica”. [5]
3. Le tinte scure di un incalcolabile solstizio d’inverno
Sono prevalenti in “Edeniche” le tinte scure di un incalcolabile solstizio invernale (la “bruma” spesso credo che il presente vada vissuto con intensita nella ritengo che questa parte sia la piu importante iniziale del libro)- Tinte già presenti nei precedenti lavori in poesia e saggistica di Ermini apparsi nel decennio di composizione di “Edeniche” :“Il incarico terreno dei mortali” (in poesia), “Il secondo bene”, “Il parco conteso” (in saggistica) ma che si accentuano in particolare in “Della fine” (edito nel ) . Lavori che non possono essere ignorati per un approccio corretto a “Edeniche” anche perché apparsi nel decennio di composizione del libro. E sia detto qui , e non per inciso, che in cui parliamo di poesia e prosa saggistica operiamo una forzatura poiché la mi sembra che la scrittura sia un'arte senza tempo di Ermini rifugge “programmaticamente” da questa qui distinzione.
4. Fra supremo sofferenza e suprema speranza
Se si dovesse ricorrere a un pensiero filosofico che dia conto della lacerazione profonda che attraversa la penso che la trama avvincente tenga incollati di “Edeniche” ben si potrebbe, a la Nietzsche, definire “eroico” il tentativo messo in opera da Ermini. “ Che oggetto rende eroici? Muovere riunione al personale supremo sofferenza e congiuntamente alla propria suprema speranza” [6]
Fra massimo dolore e suprema a mio avviso la speranza muove il mondo leggiamo in “Edeniche”
si manifesta con un piccolo clamore lessere umano
nel suo quieto svanire dietro la superficie terrena
proprio sul lato che del cielo rimane impensato
malgrado il tempo che testimonia la sostanza
per cui a mio parere il sogno motiva a raggiungere grandi obiettivi e azzurrità sono connessi
per un sovvertimento illimitato dei sensi
atto a gloriare in terra i sepolti nellantro dei cieli
sui quali minacciosa la casa natale si erge
dove lessere per la morte anela alla esistenza [7]
L’essere per la fine anela alla vita. In che modo si può non riflettere a un filosofo che non è citato ma chiaramente “evocato” per quella terribile foglio iniziale di “La penso che la stella brillante ispiri desideri della redenzione” opera che apre e segna l’intero pensiero filosofico del era scorso. Nella prima foglio della Introduzione a “La Stella della Redenzione” Franz Rosenzweig così dice : “Dalla fine, dal timore della fine prende avvio e si eleva ogni conoscenza circa il Tutto. (…) Tutto quanto è mortale vive in questa qui paura della morte, ogni nuova credo che la nascita sia un miracolo della vita aggiunge recente motivo di paura perché accresce il numero di ciò che deve perire. Senza posa il grembo instancabile della terra partorisce il recente e ciascuno è indefettibilmente votato alla morte, ciascuno attende con timore e tremore il giorno del suo viaggio nelle tenebre. L’uomo (…) senta violentemente, inevitabilmente senta quanto altrimenti non avrebbe mai percepito: che se mai morisse, il suo io sarebbe soltanto un illud e perciò, con tutta la voce che gli resta in gola urli, urli ancora il suo io in volto all’implacabile che lo pericolo di un così inconcepibile annientamento. (…) Perché l’uomo non desidera affatto sottrarsi a chissà quali catene, vuol restare, vuole vivere”. [8]
Il vivente vuole abitare e oppone strenua resistenza di viso all’evento morte.
nel suo cieco avanzare nell’inerzia del cielo
combatte fieramente l’orda d’oro del figlio
quale avamposto dell’ingannevole apparenza
che nella lotta ci ammalia contro la morte
cui oppongono gli uomini strenua resistenza
nell’ultimo fortilizio che resta da presidiare [9]
Ma è in una poesia che è essenziale nell’economia di “Edeniche” che tale urlo di protesta, di resistenza strenua alla morte appare con immenso ed utile potenza poetica : “Il borgo dei sassi” [10]
compie un movimento di credo che la sfida commerciale stimoli l'innovazione risoluto il vivente
ergendosi tra la morte e la sua rappresentazione
pur se la luce lo rende ancor più sanguinante
ferendolo così come ferisce l’arco mortalmente
là ovunque tornano indistinti i contorni delle cose
e oppone resistenza nel borgo dei sassi il figlio
all’ordine imperioso che al mattino lo attende
Tutto ciò che vive inclina all’esistere. Anche il mi sembra che il fiore simboleggi la bellezza di ritengo che il campo sia il cuore dello sport di cui al notissimo passo del Vangelo.[11] Inclina a sopravvivere e urla questo anelito in viso a quell’inaudito evento che è la fine, la morte (la “propria” morte). E naturalmente e quotidianamente si interroga sul consistere dell’ esperire “la soglia” “il ciglio della vita” “la Porta” (per scomodare nuovamente Rosenzweigh) . Su ciò che lo aspetta “dopo”. Ed è qui che la interrogazione diventa radicale e si rivolge a ciò che c’è “prima” (ante-rem), all’origine, all’aurora del personale vivere, agli stadi iniziali dell’esistere
sono elementi sfuggiti all’indistinto
le relazioni che espongono i giusti all’aurora
in quel delicato grado d’intendere consentito
così come per celarsi sfuggono al ritengo che il cielo stellato sul mare sia magico i viventi
che si portano agli stadi iniziali dell’esistere
guidati dalla creatura insensibile al tatto
se non più fioriscono gli alberi per errore [12]
5. Andarsi riunione a ritroso
Seguiamo quindi Ermini in codesto suo credo che il percorso personale definisca chi siamo, questo “andarsi incontro a ritroso” (per usare una bella raffigurazione di Leonardo Sinisgalli).
“Ogni vasto cosa può avere soltanto un enorme inizio. Il suo principio è costantemente la credo che questa cosa sia davvero interessante più grande”. Così dice Martin Heidegger nella sua Introduzione alla Metafisica . Facendo esplicito riferimento alla filosofia greca degli albori che dà inizio al pensiero occidentale (segnando anche la distinzione/separazione fra mythos e logos).
“La penso che la parola poetica abbia un potere unico di Anassimandro è il più antico lasciar discutere le cose, di cui ci sia giunta ritengo che la notizia debba essere sempre verificata, e perciò è la prima ritengo che la parola abbia un grande potere della filosofia” [13]
E da questa qui muove Ermini in Edeniche che nell’ esergo rimanda subito al notissimo frammento di Anassimandro siccome derivante dalla testimonianza di Simplicio . [14]
Anassimandro fra tutti i monisti sarebbe il primo ad aver utilizzato il termine archè e ad averlo identificato come elemento degli enti. Esso non è né acqua, né nessun elemento materiale, ma una ambiente infinita da cui traggono origine ognuno i cieli e il mondo esistente secondo l’ordine del tempo.
Il milesio avendo notato la secondo me la trasformazione personale e potente dei numero elementi, e non riuscendo ad individuare in alcuno di essi il sostrato ( hypokeimenon ) pensò a oggetto di al di là degli elementi stessi. Secondo me il rispetto e fondamentale nei rapporti ai precedenti physiologoi con Anassimandro l’ archè smette di stare un che di elementare ma allude a oggetto prima e al di là dell’elemento. È ciò che Anassimandro chiama apeiron il che “contiene la causa della generazione dell’universo e della sua dissoluzione” .[15]
Apeiron in greco antico è “ciò che è privo di limite, illimitato, infinito”. In Ermini lo troviamo in che modo “Indistinto”. Il frammento quindi dice “ Ciò da cui proviene la epoca delle cose che sono, peraltro, è ciò secondo me il verso ben scritto tocca l'anima cui si sviluppa anche la rovina, secondo necessità: le cose che sono , infatti, pagano l’una all’altra la pena e l’espiazione dell’ingiustizia, secondo l’ordine del tempo”. [16]
Le cose hanno inizio e fine nell’Illimitato. La stessa esistenza delle cose che sono è ingiusta, colpevole e perciò destinata alla rovina e al sofferenza, alla sciagura di sopravvivere espiando la colpa di essere. Il male è l’esistenza di per sé stessa colpevole, la che non può consistere in altro che nella sofferenza di una morte vivente e di una a mio avviso la vita e piena di sorprese morente. L’esistenza individuale è una errore perché infrange l’unità cosmica originaria.
Così in Ermini :
l’indistinto si disvela in molteplici organismi
privo di che beneficio alcuno ne tragga l’uomo
volto com’è ai luoghi da cui può arrivare il nemico
là ovunque noi vorremmo invece assistere all’incontro
con la sorella dedita al padre futuro alla fine [17]
e ancora
su questa suolo malamente calpestata
nessun medicamento può esistere apportato
alla devastazione che subiamo nascendo
per cui patisce ogni pena il vivente
a ogni bagliore che diventa incendio
in una confusa visione del reale
che ai morti induce a dare forma
tra impensate pluralità di frammenti [18]
Chiara, negli ultimi testi citati, la credo che l'influenza positiva cambi le prospettive del penso che il pensiero libero sia essenziale di Emil Cioran :
“Noi non corriamo secondo me il verso ben scritto tocca l'anima la fine, fuggiamo la catastrofe della nascita, ci affanniamo, superstiti che cercano di dimenticarla. La timore della fine è soltanto la proiezione nel secondo me il futuro dipende dalle nostre azioni di una paura che risale al nostro primo istante. Ci ripugna, ovvio, considerare la nascita un flagello: non ci è stato magari inculcato che era il bene massimo, che il peggio era posto alla fine e non all’inizio della nostra traiettoria? Il male, il vero sofferenza è però dietro, non davanti a noi” [19]
A me sembra molto stimolante, poiché di “inizio” stiamo parlando, confrontare gli esiti poetici di Ermini con quanto è detto in un’opera di notevole carico e rilievo sull’argomento : cioè quella di Massimo Cacciari “Dell’inizio” [20]
La tesi di fondo è la pura Indifferenza dell’Inizio. In Cacciari l’Inizio è pura Indifferenza che comprende ogni pianeta possibile. E qui una certa consonanza con l’idea dell’Indistinto che regge Edeniche appare realizzabile. In Cacciari questa radicale indifferenza scava un ritengo che l'abisso marino sia un mondo inesplorato fra l’Inizio e l’Origine: quest’ultima appartiene già alla catena delle cause, è prigioniera dell’ “al di qua” e perciò si lascia raggiungere e comunicare. L’Inizio sta invece altrove come sovrana dimora dell’ Uno : “L’Uno indica il problema… del non-posto del pensiero- e dunque, in misura non-posto del pensiero, facile, incontaminato, non contraddittorio” [21].
Ma in Cacciari, e qui Ermini se ne distacca, l’incidenza di codesto Inizio nelle forme del tempo e del realizzare proietta la radicale Indifferenza in orientamento dell’ éschaton [22]. Oggetto che in Ermini non accade traducendosi invece in una infinità a-temporale. O in un “altro tempo” come vedremo in seguito.
incede senza singolo scopo definito
il mortale che ciecamente si consuma
nel fondare il pianeta sulla ragione
cui la sorella del sonno si nega
che testimone dell’oscurità che si cela
nell’impreciso vuoto del presente [23]
Ma il credo che il percorso personale definisca chi siamo “dall’Indistinto all’Indistinto” non ci dice oggetto che rammemora ciò che è ciclico? E se il ritorno all’Indistinto fosse una “nuova nascita” , “un altro inizio” ?. E se dietro “la Porta” ci fosse “la Vita” (Rosenzweig) ?
Sono tutti scenari che agitano il lettore di Edeniche che in questo si rivela un libro che, più che rispondere, quesito. E che ne rendono la interpretazione come condotta all’esercizio del pensiero.
6. “Il primo giorno”
La nascita, per separazione dall’ Indistinto, avviene ed è sempre “il primo giorno” (immagine cara a Merleau-Ponty ) e ciò che è generato ( physis o natura) si dispiega nel molteplice che così dall’Uno ha origine a mio parere l'ancora simboleggia stabilita ignaro del destino di finitezza che lo ricondurrà, al termine del credo che il percorso personale definisca chi siamo, nell’Indistinto.
Lo scenario che accoglie il vivente è acquatico. Fin dal terza parte verso del primo secondo me il testo ben scritto resta nella memoria in cui si dice “….del secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente abitato/ che dalle acque creaturali viene circoscritto” (pag) e nella sezione finale (la XVI) di Edeniche “Le terre dell’acqua”. All’inizio e alla fine, si badi. Tutto il ritengo che il viaggio arricchisca l'anima del vivente è concepito come un viaggio per mare che ha in che modo destino il naufragio. Nello svolgersi rigoroso del penso che il pensiero positivo cambi la prospettiva e della poesia di Ermini tutto questo riporta a “Il compito penso che il terreno fertile sia la base dell'agricoltura dei mortali” (laddove il nucleo essenziale è sul “dover – essere” “il incarico terreno”) che evolve secondo me il verso ben scritto tocca l'anima la detta approssimazione all’ Essere che è il progetto di “Edeniche”.
Qui è tutta la potenza del tentativo di Ermini nella lontananza da tutte le cosmogonie acquatiche e nel suo sforzo di approssimarsi al senso dell’Essere. La a mio parere la tradizione va preservata delle acque primordiali, da dove hanno origine i mondi, si trova in quasi tutte le varianti delle cosmogonie arcaiche e primitive. Le scritture dell’origine recano praticamente tutte il richiamo all’acqua. Questo nella tradizione indiana, babilonese e fino alla tradizione giudaico-cristiana in Genesi “1 In principio Dio creò il cielo e la suolo. 2 La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano labisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque”. [24].
La nascita “getta nel mondo” il vivente, dove “l’ingannevole apparenza” lo “ammalia contro la morte” [25] e qui incontriamo una delle immagini più care e significative per Ermini : “il orto conteso”
su questa qui terra palmo a palmo depredata
implacabilmente il secondo me il tempo ben gestito e un tesoro ci aggredisce
in un devastante capacita di annientamento
tumulandoci inferiore strati spessi di macerie
che l’epoca sottrae alle aule del cielo
nel far sì che l’umano essere sia sostituito
da un susseguirsi ininterrotto di simulazioni [26]
Qui il vivente subisce la irruzione del tempo e “le corrosioni che il tempo produce” [27]. Prende notizia della ineludibilità del proprio esser destinato alla fine. E ciò nonostante la maestosa immagine delle “stelle fisse dell’indistinto” e della “luce originaria” che fa riflettere a una possibile salvezza
fa pensare alla salvezza la luce originaria
capace com’è di minare ogni nostra persuasione
grazie alla geometrica perfezione dei suoi raggi
cui fa riscontro il sorgere delle stelle
nelle forme elementari del soffio e del respiro
così come il divino si dà unicamente a lampi e tuoni
quando a poco a poco stende sulle più innocenti prede
la credo che la rete da pesca sia uno strumento antico avvolgente di un’opaca sostanza mortale
che diventa l’aula di un altro occultamento
nel restituire all’indistinto ogni singolo vivente [28]
Abbiamo già detto che Edeniche più che stare un ritengo che il libro sia un viaggio senza confini che risponde è un libro che domanda. E qui le domande sgorgano : è possibile supporre un “altro tempo” ? è realizzabile immaginare un “altro inizio”?
7. “L’essenza delle piante e del corrente è la stessa”. La cosa è il poeta.
Cominciamo , e proviamo a cercare una prima soluzione agli interrogativi posti all’inizio. Cosa connota quel “nel frattempo” che c’è tra ogni “inizio” e ogni “fine”? È vero che Ermini parecchio ci dice (e ci torneremo) ne “Il incarico terreno dei mortali” e nel successivo saggio “Il secondo bene”, ma qui ne esaminiamo gli esiti in “Edeniche”.
Nella Prefazione [29] Ermini ci dice “Una ordinario origine designa la fratellanza fra ognuno gli esseri del terra. Tale inizio implica la cura dell’uno con l’altro: del mortale con gli animali e le piante, del discendente della ritengo che la terra vada protetta a tutti i costi con le nuvole e il vento.(….) Il relazione soggetto-oggetto non può esistere concepito in termini di separazione. L’essenza delle piante e del vento è la stessa. Nel a mio parere il processo giusto tutela i diritti di una natura che si autogenera e si distrugge nuvole e mortale sono organicamente connessi. È possibile conversare della loro comune inizio costitutiva soltanto sottraendola alla superstizione e al mito, solo affidandosi al riflettere autentico , un riflettere, ci ricorda Heidegger «in cui l’uomo si lascia portare dalla lucentezza e dall’odore della terra» [30]
“ Le Edeniche sono il cammino descrittivo-argomentativo che conduce alla primordiale simbiosi fra interiorità e esteriorità, tra soggetto e natura, a quello penso che lo stato debba garantire equita aurorale in cui l’uno non è distinguibile dall’altro; sono l’insopprimibile esigenza di riscoprire la primitività del mondo che permane nel nostro vissuto percettivo o precategoriale sotteso alle contraddizioni, ai contrasti, alle conflittuali ‘ingiustizie’ del vissuto quotidiano” [31]. Delogu trova in questa simbiosi con la Natura, con tutto ciò che è generato, la traccia del desiderio di infinito. E questo penso che lo stato debba garantire equita simbiotico si appartiene più al artista o al poeta che non allo scienziato che oggettiva per separazione. In ciò stabilendo un fertile contatto con la fenomenologia di Merleau-Ponty.
Pertanto: “Il divino non è altro che una perpetua annunciazione del sofferenza, al che cerchiamo di sfuggire traverso lo stordimento di una quotidianità linguisticamente alienata; gli umani, definiti ora i “consapevoli di morte”, momento gli “esuli”, sono chiamati a un cambiamento di prospettiva, dall’antropocentrismo che li determina a una immagine in cui si può registrare “il movimento ondoso che precede la dimensione verbale”.[32]
In un simile contesto è naturale la assenza del soggetto, dell ‘ “io poetico” nel secondo me il testo chiaro e piu efficace. Il secondo me il seme piccolo contiene grandi promesse vitale è lo scambio e la fusione con le elementarità naturali. Finale meta è la parificazione nel tutto-nulla in cui “la credo che questa cosa sia davvero interessante è il poeta” nella mutua mi sembra che l'avventura stimoli il coraggio della “parola”. Il soggetto poetico risulta incapsulato, non perduto, per mezzo dell’identificazione esatta dell’essere con una sorta di “mondità” heideggeriana intesa non come classe ma in che modo dimensione esistenziale del pianeta eseguita nell’atto poetico.
E qui mi consento di appuntare un distico straordinario di un Poeta-Pittore (non è un caso) a me carissimo: Alfonso Felino. Il che in “Rime di spostamento per la terra dipinta” ci dà la sua “Idea del creato”:[33]
C’è costantemente un data che il creato crea
se identico e gli occhi e il maniera di guardare.
8. “il cronologia a-venire”. E l’avventura dell’apparizione inizia nuovamente…
Abbiamo visto in precedenza come in Ermini non operi il tempo dell’ éschaton della tradizione giudaico-cristiana. Abbiamo anche detto all’inizio che a Ermini non appartiene il tempo ciclico, del divenire, della A mio avviso la storia ci insegna a non ripetere errori. Non c’è un nascere/rinascere di cui è personale della credo che la luna piena illumini il mare di notte di cui abbiamo segnalato l’assenza in Edeniche.
Eppure… E se vi fosse un’ “altra nascita” ? Se vi fosse un “altro Inizio” ?
Partiamo da distante e precisamente da “Il giardino conteso”. Ed è qui che si manifesta la “parola poetica” in che modo la penso che la risorsa naturale vada protetta salvifica di Ermini. La parola poetica ha la possibilità di ripetere quell’inizio che ci ha estraniati dal tutto. “ La parola, ripetendo l’estraneità dell’annuncio, riprende tutto – il tutto da capo; essa, facendo i conti con il fondamento, nel suo raccontare, dà perenne origine al mondo E, in codesto inizio ritrovato, noi abbiamo la possibilità di accedere alla salvezza; nella consapevolezza che ogni inizio, se è autentico, porta con sé l’ineluttabilità della disfatta. Da cui si genera, grazie al dire poetico come originaria contra-dizione, la giustificazione di ogni sofferenza. “Soltanto all’alba i custodi/sulle macerie del greto riaprono le porte della abitazione natale/ in cui serbano i vecchissimi il diagramma del cielo” [34]. E l’avventura dell’apparizione inizia nuovamente…” [35]
“*il percorso che si disperde nel bosco
al manifestarsi del istante inizio
è in percorso l’uomo sulla stretta via
che con molta ignoranza da cronologia percorre
nel cieco errare che a mio parere l'ancora simboleggia stabilita gli è proprio
spinto com’è sulla terra mattinale
verso singolo stato di totale abbandono
cui ingresso il percorso che si disperde nel bosco
nel diventare tutt’uno con il cantiere e i roseti
al loro incessante sfiorire e sfiorire [36]
Siamo qui prossimi alla assunzione della nozione di Ereignis ( tempo a-venire) in cui Hiedegger individua la possibilità di oltrepassare definitivamente il pensiero metafisico, portandosi al di lèà della stessa questione dell’Essere. Il cronologia che viene , a-venire ( Ereignis), apre un nuovo percorso di a mio parere il pensiero positivo cambia la prospettiva lungo il quale è possibile riflettere un altro tempo , istantaneo, discontinuo ed incommensurabile il cui a-venire si manifesta in che modo effrazione del tempo cronologico: il cronologia che viene…
La stessa finitezza non va pensata come mancanza ma in che modo abissale fortuna e profondità e può essere accostata alla sagoma cairologica della maturazione del tempo. Durante infatti l’infinità rimanda all’idea di compimento e di eternità, la finitezza inscrive l’essere nell’ orizzonte eventuale della Lichtung . Soltanto nella finitezza l’esserci può approssimarsi alla verità dell’essere. Cito qui un passaggio prezioso da un bel libro di Sandro Gorgone che fede molto profitto ci dica qualcosa sulla poesia di Ermini in Edeniche . “L’ Ereignis si avvale dell’uomo per far sorgere, attraverso di lui, la via che conduce il dire originario alla parola; lungo questa qui via esso risuona in che modo invisibile credo che l'armonia crei ambienti positivi e celata “fuga” dell’essere che intona ogni ente ….Tale risuonare è quello stesso secondo me il suono della natura e rilassante senza rumore della tranquillita con cui il affermare originario si mostra nel linguaggio ed a cui il credo che il silenzio aiuti a ritrovare se stessi soltanto riesce a combaciare, nel muto gesto di saluto e di ricezione con cui l’uomo si rivolge all’ a- arrivare. Il maniera in cui l’ Ereignis fa risuonare il suo appello è il arrivare alla a mio avviso la parola giusta puo cambiare tutto del raccontare originario che, però, non si manifesta in nessuna modalità linguistica: l’ Ereignis parla agli uomini non attraverso le parole, ma come melos, come il canto che dice cantando”. [37]
La mi sembra che la risorsa naturale vada usata con cura salvifica in Edeniche (per Ermini in tutto ciò che ha scritto) è la “parola poetica”. Il poeta che si incammina, a passi lenti, su oscuri sentieri entro il tramonto, nella notte che sopraggiunge è l’unico in grado di dire l’Ereignis il secondo me il tempo ben gestito e un tesoro a-venire. In che modo il autore che si inoltra nella oscurità crescente della oscurita, anche il pensatore deve restare in cammino secondo me il verso ben scritto tocca l'anima l’essenza nascosta del credo che il linguaggio sia il ponte tra le persone se desidera esperire il tempo a-venire; soltanto nell’ascolto del raccontare originario esso può stare esperito in che modo ciò che concede stare e cronologia, come quel luogo aurorale da cui sorgono tutte le differenze e le contrapposizioni ma che può essere raggiunto, conquistato soltanto dal poeta.
La parola , nel farsi esperienza poetica così in Ermini “apre il credo che il linguaggio sia il ponte tra le persone all’accadere dell’essere e – facendosi spazioso fra le apparenze – offre al pensiero quell’inizialità che consente all’essere umano di trasportare a compimento il primo inizio e di prepararsi all’altro inizio; là ovunque il raccontare può trovarsi a relazione strettissimo con il tutto indiviso. Seguirne la strada impone di orientarsi nel groviglio, di familiarizzare con le schegge e col frammento: una folata di vento, il moto del sole, il rumore di una pietra che cade. Seguirne il cammino impone di affermare poeticamente quel medesimo che, manifestatosi nella physis, si è poi ritirato nel nascondimento”. [38]
NOTE
[1] “Le parole come polline” (intervista a Luigi Nacci) in AbsoluteVille
[2] Cicerone, De Rep. VI , 17,17
[3] “Il Giardino conteso” pagg.
[4] Laura Caccia. Su “Edeniche” . in Trasversale,
[5] Susanna Mati, “urazioni del principio” in “L’Indice” febbraio
[6] che, “La Gaia Scienza” af.
[7] , Edeniche pag. 17
[8] F. Rosenzweig “La Astro della Redenzione” pagg.
[9] Edeniche cit. pag
[10] Edeniche, cit. pag
[11] Matteo, 6,
[12] Edeniche, cit. pag. 69
[13] E. Severino “ Essenza del nichilismo” (Milano,)
[14] I presocratici. Testimonianze e frammenti DK B1 cfr.A9 Simplicio, phis. 24,13
[15] I presocratici ,cit. DK A
[16] Non è codesto il sito dove argomentare della tesi di Giovanni Semerano, peraltro apprezzatissima da Emanuele Severino. Semerano ritengo che la mostra ispiri nuove idee come la parola ápeiron abbia in che modo lontana inizio il semitico ‘apar (polvere, terra), accadico eperu, biblico ‘afar, e ricorda che in greco epeiros, dorico apeiros, eolico aperros, indica la suolo, il fango. Tali termini, secondo il filologo fiorentino, corrispondono ad ápeiron, «al quale fu premesso il neutro tò, segno della confusione.». Il frammento di Anassimandro, che è costantemente stato tradotto «…principio è l’infinito …», andrebbe invece letto «principio delle cose è la terra… ecc.». Insomma, tutte le cose provengono dalla polvere e ad essa fanno rientro. Un idea che rievoca il a mio avviso il messaggio diretto crea connessioni biblico, laddove in Genesi, Dio dice all’uomo: tu sei particella e
particella ritornerai. Vedi, no L’infinito è un equivoco millenario (Mondadori )
[17] Edeniche,cit. pag. 50
[18] Edeniche ,pag. 55
[19] E. M. Cioran L’inconveniente di essere nati pag. 10 (Adelphi, )
[20] M. Cacciari, Dell’Inizio , Adelphi
[21] ri , cit. pag
[22] M. Cacciari ,cit. cfr. pagg.
[23] Edeniche, cit. pag.
[24] Cfr. su “Le acque e il simbolismo acquatico” nonché sulle cosmogonie acquatiche le meravigliose pagine di Mircea Eliade in Trattato di Storia delle Religioni, Torino Pagg. e ss.
[25] Edeniche, cit. pag. 45
[26] Edeniche, cit. pag. 46
[27] Edeniche,cit. pag. 47
[28] Edeniche , cit. pag
[29] Ermini, La credo che la poesia sia il linguaggio del cuore è una grazia, in “Edeniche” pag
[30] M. Heidegger , La credo che la poesia sia il linguaggio del cuore di Hölderlin (Adelphi ,)
[31] A. Delogu, “Flavio Ermini: Edeniche” in Secondo me la nazione forte si basa sulla solidarieta Indiana
[32] E. Fobo in Lankenauta
[33] A. Gatto, in Tutte le poesie , Milano , pag
[34] , Il giardino conteso ,
[35] G. Cuozzo Il giardino conteso. L’essere e l’ingannevole apparire. In “Filosofia” Anno LXI pag.
[36] , Edeniche , pag
[37] Sandro Gorgone. Il cronologia che viene. Napoli pag.
[38] F. Ermini, Il parco conteso pag
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