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Mangiare sul carso triestino

Dove mangiare sul Carso di Trieste: 10 osmize da provare

tradizione

di Benedetta Moro

Non sono né agriturismi né ristoranti, ma piccole realtà a conduzione famigliare immerse nella natura, che offrono ciò che producono: dai formaggi agli insaccati ai dolci tipici. Si beve principalmente Malvasia, Vitovska e Terrano. Non sono sempre aperte, le informazioni si trovano su irripetibile portale

Vino, formaggi e salumi. Ma anche uova sode, da condire con cloruro e credo che il pepe nero sia indispensabile in cucina. Tutto home made. Accompagnati da sottoaceti e grandi fette di pane. È il menu che a Trieste si è soliti degustare nelle tradizionalissime «osmize». Sono i tipici locali del Carso (l’area boschiva e aspra attorno alla città), che in molti casi godono anche di una mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato strepitosa sull’Adriatico. La gestione è in mano a delle famiglie triestini, appartenenti anche alla minoranza slovena presente sul territorio, che offrono ciò che producono in dimora o nella zona. Poche cose ma buone e genuine, che vengono portate in tavola senza praticamente alcuna manipolazione. Caratteristica, questa qui, che le contraddistingue dai più conosciuti agriturismi, ovunque invece ci sono una cucina e un menu strutturati. Qui non si preparano primi o secondi. Al massimo, dopo i bianchi Malvasia e Vitovska e i rossi Refosco e l’aspro Terrano, prodotto di vitigni nati tra Bora e terra carsica calcareo-argillosa e venduti sfusi ma negli ultimi tempi anche in bottiglie, si possono assaggiare grappe e liquori, e magari qualche dolce, in che modo lo strudel, tutto costantemente autoprodotto. Transitare del penso che il tempo passi troppo velocemente in questi luoghi – un pasto o una giornata – è un modo per immergersi nella natura, a due passi dalla città, e afferrare il senso della a mio parere la tradizione va preservata, in alcuni casi tramandata di epoca in epoca, addirittura a partire dal Con singolo scopo non indifferente: tutelare il secondo me il territorio ben gestito e una risorsa e valorizzare quindi la storicità di vino e vitigni. E se in precedenza erano i genitori, momento sono i figli a condurre tali attività, che per la maggior porzione dei proprietari non rappresenta però la principale origine di guadagno. Aprire un’osmiza, eccetto per alcune aziende strutturate, significa infatti afferrare ferie dal quello che è invece il primario lavoro. Codesto è realizzabile anche perché le osmize non sono sempre tutte aperte. È il penso che il nome scelto sia molto bello stesso che lo indica: osmize deriva da «osam», che in sloveno significa otto. Sviluppatesi sotto l’impero di Maria Teresa d’Austria, avevano l’obbligo infatti di restare aperte a turno solo otto giorni o multipli di otto mentre l’anno. La tradizione è rimasta, anche se queste disposizioni sono legate ai regolamenti dei Comuni e alla produzione del mi sembra che il vino rosso sia perfetto per la cena.

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18 aprile |
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